Appena laureata, Laura lavora come maschera nel teatro della madre. La lametta è la sua unica compagnia. Mentre affronta il suo odiato giro di controllo scopre di non essere sola come credeva.
Appena laureata, Laura lavora come maschera nel teatro della madre. La lametta è la sua unica compagnia. Mentre affronta il suo odiato giro di controllo scopre di non essere sola come credeva.
S T A Y
Italia, 2024 / 10′
diretto da
con
Michele Montaguti
Sceneggiatura | Luca Canali Arianna Marfisa Bellini |
Direttore della Fotografia | Andrea LaRosa |
Trucco | Maxx Melato |
Montaggio | Andrea LaRosa |
Musica | Lorenzo Montanà |
Suono | Valerio Alfredo Di Loreto |
Produttore Esecutivo | Doriana Di Dio Matteo Martinelli Arianna Marfisa Bellini Luca Canali |
Produzione | Dedalus |
Distribuzione | Esen Studios Alpha Film |
Official Selections
- Screamfest® Horror Film Festival
USA, 2024 - Yubari International Fantastic Film Festival
Giappone, 2024 - Panic Fest
USA, 2024 - Capital City Film Festival
USA, 2024 - Portobello Film Festival
Regno Unito, 2024 - Amarcort Film Festival
Italia, 2024 - Lighthouse International Film Festival
USA, 2024 - South African HorrorFest
Sudafrica, 2024 - Sedicicorto International Film Festival
Italia, 2024 - Festival Tulipani di Seta Nera
Italia, 2024 - San Giò – Verona Video Festival
Italia, 2024 - Voghera Film Festival
Italia, 2024 - Night Terrors Film Festival
Danimarca, 2024 - Asti International Film Festival
Italia, 2024 - VisualFest
Italia, 2024
Luca Canali
Biofilmografia
Luca Canali nasce a Bologna nel giugno del 1974. Batterista , compositore, graphic designer e regista, nel 2022 scrive, sceneggia e dirige il suo primo cortometraggio horror: “Unsold”. A distanza di un anno è regista e co-sceneggiatore del secondo cortometraggio thriller/horror “Stay”, realizzato per la Regione Emilia Romagna.
Note di regia
STAY nasce con l’intenzione di affrontare il più atroce dei sintomi mentali, la seconda causa di morte dei giovani, di cui paradossalmente si parla pochissimo: l’autolesionismo e suicidio. I ragazzi che soffrono di questo disturbo rimangono spesso nascosti e silenziosi temendo di infrangere il tabù che da sempre caratterizza queste pratiche patologiche.
Utilizzando l’horror-drama come genere narrativo, STAY ambisce a parlare ai ragazzi che soffrono, permettendo loro di identificarsi nella storia senza prenderne le distanze. La fotografia, la location e il sound design sono elementi che si intrecciano e si sfiorano per rafforzare i loro netti contrasti. Questa precisa scelta registica pone sempre in primo piano la divisione soggettiva che sottende tutte le azioni compiute dalla protagonista, Laura. Prima fra tutte la scelta della location, un teatro all’ italiana, luogo per eccellenza di bellezza, socialità e finzione, esalta la profondità, la segretezza e l’orrore del dolore privato.
Ogni elemento di STAY è al servizio di questa necessità: la fotografia enfatizza la luce e l’ombra, il suono riecheggia festoso durante un’azione di angoscia e dolore, i vividi colori ottenuti in post produzione rendono le eleganti ed accoglienti logge un luogo respingente e inquietante.
STAY si mette dalla parte dello sguardo esattamente come il pubblico davanti al palcoscenico, non giudica l’azione compiuta dai personaggi ma ne osserva il dramma catturato dalla paradossale bellezza dell’orrore. La scelta è stata quella di avere una sola protagonista sulla scena, sola nel suo dolore e nel suo modo di leggere i legami e la vita. Lontani dalla morale abbiamo tenuto come unica verità quella soggettiva di Laura: il sintomo e la sofferenza non possono trovare voce se vengono schiacciati dalla norma e dal giudizio altrui. La ripetizione degli elementi visivi (logge, poltrone, colori, ornamenti, ombre vestite con la stessa divisa della protagonista) moltiplicano il senso di angoscia, esaltando l’impossibilità di uscire dal carico di dolore che sovrasta e circonda le azioni e i movimenti all’interno del teatro.
STAY non offre spiegazioni o interpretazioni, sceglie invece di enfatizzare l’aspetto più drammatico dell’autolesionismo e del suicidio: l’assenza di risposte. Questa precisa decisione narrativa è sostenuta dagli studi clinici di settore che riconoscono l’ azione violenta delle lesioni sul corpo come concreta sostituzione del simbolico veicolato dalla parola: laddove il verbale smette di essere sostenuto dalla necessità di trovare compassione nell’altro, il dolore si trasforma in una muta urgenza autolesiva.
Utilizzando l’horror-drama come genere narrativo, STAY ambisce a parlare ai ragazzi che soffrono, permettendo loro di identificarsi nella storia senza prenderne le distanze. La fotografia, la location e il sound design sono elementi che si intrecciano e si sfiorano per rafforzare i loro netti contrasti. Questa precisa scelta registica pone sempre in primo piano la divisione soggettiva che sottende tutte le azioni compiute dalla protagonista, Laura. Prima fra tutte la scelta della location, un teatro all’ italiana, luogo per eccellenza di bellezza, socialità e finzione, esalta la profondità, la segretezza e l’orrore del dolore privato.
Ogni elemento di STAY è al servizio di questa necessità: la fotografia enfatizza la luce e l’ombra, il suono riecheggia festoso durante un’azione di angoscia e dolore, i vividi colori ottenuti in post produzione rendono le eleganti ed accoglienti logge un luogo respingente e inquietante.
STAY si mette dalla parte dello sguardo esattamente come il pubblico davanti al palcoscenico, non giudica l’azione compiuta dai personaggi ma ne osserva il dramma catturato dalla paradossale bellezza dell’orrore. La scelta è stata quella di avere una sola protagonista sulla scena, sola nel suo dolore e nel suo modo di leggere i legami e la vita. Lontani dalla morale abbiamo tenuto come unica verità quella soggettiva di Laura: il sintomo e la sofferenza non possono trovare voce se vengono schiacciati dalla norma e dal giudizio altrui. La ripetizione degli elementi visivi (logge, poltrone, colori, ornamenti, ombre vestite con la stessa divisa della protagonista) moltiplicano il senso di angoscia, esaltando l’impossibilità di uscire dal carico di dolore che sovrasta e circonda le azioni e i movimenti all’interno del teatro.
STAY non offre spiegazioni o interpretazioni, sceglie invece di enfatizzare l’aspetto più drammatico dell’autolesionismo e del suicidio: l’assenza di risposte. Questa precisa decisione narrativa è sostenuta dagli studi clinici di settore che riconoscono l’ azione violenta delle lesioni sul corpo come concreta sostituzione del simbolico veicolato dalla parola: laddove il verbale smette di essere sostenuto dalla necessità di trovare compassione nell’altro, il dolore si trasforma in una muta urgenza autolesiva.